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Channel: Chickenbroccoli
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James

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Split

Questa volta una candidatura almeno ai Golden Globe la merito però eh... 

Anche più di una:

Samuele

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Invece di aspettare che qualcuno vi spieghi il finale, potreste fare una ricerca, piuttosto che star qui a dire che vi ha deluso. 
Altrimenti fate la figura dei pirla.

Jean-Claude

Ricky

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Per dirla alla Giapponese NA KAKATA. COLPI DI SCENA 0 interpretato male .... a me non è piaciuto x nulla eppure qui avanguardisti e scienziati filmologhi ne parlano come evento rivelazione. Ascoltate va, tornate a guardare uomini e donne e il segreto. Sto film è un flop pazzesco.

Anya

Goku

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Il finale? Niente di strano lo faccio tutti i giorni ho anche una diapositiva:

S.P. Oiler!

Manlio

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Ma che cazzo spoilerate BASTARDI!

CB

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Split
Trama: La CBestia è libera

Scusa Shyamalan se per tanti anni ti ho chiamato Shyemolan. Non che non te lo meritassi, ma questa volta mi rimangio tutto.
Split è un filmone e non credere a chi dice di no.
Aspettiamo il prossimo episodio del tuo nuovissimo universo condiviso con impazienza, io e gli altri 23 che hai conosciuto oggi.

Minecrack

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Mine
Trama: Te nel deserto

Difficilmente un Broccolo fu così pesante da assegnare. Non è cattiveria, è la conta dei fatti.
Mine è un film italiano fatto da italiani, italiani veri, proprio come Toto Cutugno, che però vuole (e ci riesce) essere americano. Si impegna tantissimo - troppo! Ecco il problema! - ad essere americano.
Intanto l'attore protagonista è quel bellimbusto di Armie Hammer
uno di cui non ho mai imparato il nome fino ad adesso, eppure l'ho visto mille volte, dal doppio gemello di Social Network al principe azzurro qui, cowboy , spia tirapugni o ultimamente come animale notturno; eppure non è certo un attore di cui ricordi qualcosa se non la bellezza anche un pochino banale.
Doveva arrivare Mine per fargli fare un film da protagonista assoluto - e quando dico assoluto intendo che praticamente c'è solo lui tutto il tempo - e farci notare che ehy, è pure bravino eh.
Poi la storia: soldato americano di base in Iraq sta tornando col commilitone/miglior amico (?) alla base dopo una missione andata male, e mentre l'amico gli salta in aria davanti, lui contemporaneamente mette un piede su una mina e non può far altre che stare fermo, non deve muoversi, deve guardare l'amico morire e aspettare gli aiuti che arrivano tra 75 ore, forse di più. Esatto, praticamente è un mix tra Buried e 127 ore. Soprattutto troppo troppo simile a quest'ultimo nell'andamento, nella gestione della paranoia, nella claustrofobia al contrario (questo sta nello spazio aperto più vuoto che esiste, il deserto, ma deve stare immobile), come nel film con James Franco ci sono le visioni di una vita passata che si mischiano alla situazione disperata, ci sono i deliri che uniscono in un solo colpo d'occhio deserto e interni casalinghi (un divano appare magicamente nella sabbia, è proprio uguale a 127 ore, troppo), poi c'è il fattore "quando stai per morire ti passa tutta la vita davanti", solo che se stai morendo di stenti (che è una morte che dura troppissimo), davanti che ti passa? Pure la vita degli altri? Tutte le vite che non hai vissuto? Ripensare agli errori fatti, a come sarebbe potuta andare... insomma tutta roba un po' vista.
Poi appunto c'è la sceneggiatura, quella sì che purtroppo è l'elemento che pesa di più in quel Broccolo. Fare gli americani va bene. Fare i film di genere va benissimo, sarebbe assurdo dire il contrario dopo aver gioito come ragazzini di fronte a Jeeg Robot o Veloce come il vento, ma lì erano italiani che facevano film italiani capaci di tenere testa a quelli americani, senza perdere identità. Mine invece si autodistrugge con meccanismi sentimental-buonisti di una tale banalità che rovina quanto di buono fa nella messa in scena e, soprattutto, nella regia. 
Ecco la regia, invece, è veramente ma veramente ottima, insomma tenere viva l'attenzione per 90 minuti con uno fermo nel deserto senza farmi sentire il sapore di aver riciclato le inquadrature ce ne voleva.
Peccato eh, perché il film in fondo c'è tutto, è un film di genere ed è fatto da italiani, italiani veri, ma le sparate sul perdono paterno, sui figli che pagano gli errori dei padri, sul vizio della violenza domestica che si tramanda, mi è sembrata proprio una cosa da film banale americano buonista vacchio stampo.
E poi quel finale, proprio no.
Peccato che nel deserto non ci sono i gabbiani eh

Vicini's Secret

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Le spie della porta accanto
Trama: Civico 007

Non si sentiva proprio lo spasmodico bisogno di un film che racconta di una coppia di poveri (ma sani nei principi!) provinciali americani che si ritrova come vicini di casa due superfichissime spie e viene coinvolta suo malgrado in un'operazione supersegreta che affronterà senza la grazia e la preparazione delle controparti spione
ma da cui ovviamente uscirà vincitrice in simpatia e amorpatrio. E "savansansdir", sconfiggendo il cattivone di turno (in questo caso il sempre beneamato Patton Oswalt. Che pezzo d'uomo.)
Certo, è la solita sbobba. Che funziona eh, è un genere ormai a sé stante e ha le sue regole, come gli horror e le rom-com,
Ovviamente si comincia coi simpatici siparietti delle spie infiltrate che per non farsi riconoscere fanno cose pazzesche in un ambiente di sfigati (in questo caso moglie-spia fa la mossa Robin Hood
D'altro canto gli sfigati affrontano come possono pallottole e sicari (il più delle volte sopravvivendo involontariamente), scoprendosi cervelli più fini delle stesse spie, anche senza addestramento, anzi proprio per quello (non si tratta di pensare fuori dalla scatola, si tratta di non pensare proprio).
Un'equazione risaputa, che se solo scartabello velocemente i film dell'ultimo anno lo trovo U-GU-A-LE (anche se non sempre era una coppia, più spesso uno sfigato singolo) almeno tre volte (tipo qui, qui e qui), e che comunque ci perseguita da decenni, e i risultati il più delle volte sono miserabili. Roba tipo Spie come noi ha fatto scuola, ma tutti i continui film con lo sfigato e la superspia spalla a spalla in cui ognuno impara un po' dall'altro, hanno francamente rotto i coglioni (valgono anche le declinazioni sfigato/poliziotto).
Eppure in questo film c'è qualcosa. Qualcosina. Qualcosella. Qualcosuccia che lo rende sopportabile, caruccetto, decente dai, insomma guardabile. 
Quel qualcosa ono i quattro protragonisti.
Le megaspie sono quei fichi (aiutame addì) di Jon Hamm e Gal Gadot

Che altri non sono che Mr. e Mrs. Smith, comunque

ma che hanno proprio una bella alchimia. Falli pure esse brutti a quei due...
Gli sfigati sono Moussakone Zafilinakis o come si scrive ormai relegato nel ruolo del "Ned Flanders" sfigato e buono di cuore la cui candidaturacandidacanditismo innocenza salverà la situazione (è già il secondo in rapida successione, anche se questo non è imbarazzante come quello, anzi due risate contate le fa fare, ma sono lontani i tempi di Bored to death) e Isla Fisher, moglie di Sacha Baron Coen e forse vera forza propellente di tutto il film. 
È brava e simpatica e persino sexy (purtroppo avendo a che fare con Gal...) e ti fa chiedere davvero se alla fine alla stangona (di cui tanto prima o poi ti stufi) non sia meglio quella simpatica e sagace
Di cosa sta parlando? Parla di una certa scena degna di nota del film, la scena che rinomineremo il Momento Gigi. 
Gigi come Gigi la Trottola, che ricorderete tutti, è lui:
e cosa gli piaceva tanto a quel nano mattacchione di Gigi la Trottola? Esatto:
Capito che intendo per Momento Gigi? 
È quel momento di un film che tu non stai attento, perché il film mica è 50 sfumature di qualche colore o Brivido Caldo o che ne so, no, è un film che ti hanno presentato come innocuo e innocente e tu non eri preparato e PAM! appare una figa tizia stratosferica in lingerie (che insomma ok liberiamoci dalla supremazia della lingerie ma oh l'omo è un animale selvaggio e quindi l'istinto primordiale gli dice che una certa lingerie è bellaNO! FEMMINISMO!). La cosa strana è che il Momento Gigi appare all'improvviso proprio nelle commedie, dove le tue difese immunitarie e libidinose sono ai minimi.
Successe quella volta anni fa con PAM! Jamie Lee Curtis in True Lies

Successe con PAM!Jessica Biel in quello non ricordo il titolo scusate so' n'attimo distratto
con PAM! Megn Fo  x in Thhis is 40 madhonna scriberer cion una mano sola difficie...

e tu non eri pronto capito, stavi ridendo mica a pensare alle cose sessuali e PAM! Eccole lì, quelle grazie di Dio. del Diavolo, di Buddha, di Shiva, di Xenu e tu non puoi far a meno di sentirti Gigi, metterti lì con la lingua di fuori e la risata idiota e iniziare a cantare Oooh che vita sopraffina...

Gigi uno di noi.
Questa è la volta di PAM! Gal Gadot. E noi non possiamo far altro che ammirare la spia della porca accan... Ok! Ok! Scusate! Femminismo! Madonnaohormainonsepo'ppiùddignente...
Insomma l'ennesimo film di strane coppie, in questo caso strana doppia coppia, con tanto di scambio

che forse non sarà nulla di nuovo nel mondo delle commedie, in quello dei film di spie, in quello di Jon Hamm (che poverino ce l'ha messa proprio tutta a passare da Mad Man ai film, ma non è Bryan Cranston...) ma che ha il dignitoso merito di portare a casa il suo risultato senza cadute di stile come Grimbsy o scene incomprensibili come Spy o lo schifo che era Una spia e mezzo. Il risutato è dignitoso e secondo me era quello l'obiettivo in partenza, quindi viva l'onestà, tutti a casa e PAM!

Il ragazzo dal limone d'oro

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Tommaso
Trama: Kim Solo Bim

Tommaso è uno che con le donne ci sa proprio fare. Però non sa assolutamente cosa farsene.
Tommaso ne cambia quante ne vuole. Ma la cosa che potrebbe salvarlo è stare solo.
Tommaso non ci mette molto a trovare la sostituta della precedente. E della precedente. E della precedente. E della precedente.
A Tommaso piacciono more o bionde, eleganti o coatte, alte o basse, frivole o intellettuali. Sempre belle, meritano il suo amore, fino almeno a non accorgersi di quel difetto, quella minuzia, quel particolare che proprio, proprio non gliele fa piacere più.
Tommaso cambia relazioni come un serpente cambia pelle una donna cambia vestiti. Ma inevitabilmente è come andare in giro con la prima cosa presa nell'armadio.
Detta così sembra che Tommaso sia il più felice del mondo, tanta fica, zero rimorsi. Invece la pochezza e l'inconsistenza sembrano gli unici caratteri definiti della sua personalità.
C'è un problema nella vita di Tommaso, e questo problema si chiama Tommaso.
Il protagonista del film è quello che in certi discorsi tra amici potrebbe essere definito un disperato, in certi altri discorsi tra analisti un problematico, in ancora altri discorsi tra donne un coglione morto di fica. Però è solo un uomo. Disperato, problematico, coglione e morto di fica.
Kim Rossi Stuart ha avuto un bel coraggio a girare e interpretare questo film, perché, strano a dirsi per un film italiano, riesce a mettere in piedi un personaggio dalle tante sfumature, alcune da perdonare, alcune in cui riconoscersi (e non piacersi per nulla), alcune da stigmatizzare e alcune - in effetti poche, almeno per gran parte del film - da prendere quasi come esempio, ma comunque di un'originale complessità, quasi inedita tra i personaggi del cinema d'oggi, che taglia i protagonisti con l'accetta; penso ai maschi di Perfetti sconosciuti, diversi tra loro ma granitici nella loro bidimensionalità (Giallini è buono. Leo è coatto. Mastandrea è triste. Battison è dolce.)
Lo sbandamento sentimentale di Tommaso - Riconducibile alla madre inerme? All'abbandono del padre? Al sesso? O solo alla sua coglionaggine? - è raccontato in un arco narrativo che fagocita mesi (ci sono salti temporali estremi, anche di un intero anno da una scena all'altra) e fa passare senza troppa soluzione di continuità il film da una relazione all'altra; non racconta dei fatti, Tommaso, racconta un modo di affrontarli. 
Questo modo il più delle volte sembra molto sbagliato, perché Tommaso si presenta come un vero cagacazzo, uno di quelli che "i miei problemi, le mie idee, la mia vita, io, io, io" e poi dietro i discorsoni c'è niente, ma sai niente di niente? Quello.
Però poi si incomincia a intravedere lo schema ripetitivo che soffoca la sua umanità, l'impossibilità di affrontare con la spina dorsale dritta quello che gli succede. 
Tommaso ha un bisogno disperato di essere accudito, alle volte sembra cercare solo il sentimento, altre è interessato alla mera seduzione, e poi improvvisamente sembra solo voler scopare tantissimo senza dover intavolare nessun tipo di relazione. E non sa decidere per una sola di queste possibilità, che se ci pensi sono dignitose tutte e tre, se le dichiari e non le mischi mistificando.
La cosa in cui riesce tantissimo il film è rendere l'imbarazzo di certi comportamenti, sia quelli su schermo, che suoi del protagonista, che nostri nella vita. Non sappiamo mai veramente se la repulsione che proviamo per Tommaso sia ben riposta. Perché anche quando fa delle cose meschine e imbecilli, c'è un manto di disperata malinconia che ce lo fa anche un po' perdonare. 
Povero Tommaso, che poraccio, che ripete lo stesso teatrino (non a caso è un attore che si professa profondo e impegnato e poi rivela un'ignoranza sopraffina), che cade nei suoi stessi tranelli, che usa le donne solo per sentirsi "qualcosa", ma alla fine una vale l'altra, sono tutti specchi opachi. E quindi che uomo di merda, Tommaso. Ma siamo sicuri di non esserlo (O esserlo stati. O magari prima o poi lo saremo.) anche noi?
Il merito di un film così è stato lo scommettere su un andamento assolutamente atipico - anche se un po' tanto morettiano prima maniera, quando Michele Apicella si aggirava per le spiagge buttandosi addosso alle ragazze col rischio di essere arrestato - e su un personaggio che non è quello che o ti piace o non ti piace, piuttosto è quello che potresti davvero incontrare. O essere.
E non ce ne sono tanti come Tommaso, nel cinema italiano. Forse ce ne sono tanti nei cinema, seduti, magari accanto a te. Magari al tuo posto. Magari sei tu e non te ne rendi conto perché, ammettiamolo, chi non ha mai fatto/detto/pensato almeno una delle cose da coglione che fa/dice/pensa Tommaso durante il film (mentre lascia l'ennesima ragazza o ci si mette insieme o parla del suo importantissimo lavoro di attore che però rifiuta di fare), scagli il primo sms. 
Kim è bravo a rendere l'incertezza di uno che un po' si lascia vivere, un po' ruba l'energia altrui, un po' fa pena, un po'è solo un coglione come ce ne sono tanti, un po' alla fine è solo un uomo. 
E in quanto uomo può migliorare. Può farlo. Deve solo essere lui il primo a crederci.
A supportarlo e sopportarlo ci sono tre attrici: l'accudente Jasmine Trinca, la succube Cristina Capotondi (che è proprio bona) e l'ultima, Camilla Diana (ex Melevisione. Quelli della Melevisione me li sono sempre immaginati freschi di Accademia dell'Arte, coi cervelli pieni di Pirandello e Eugenio Barba e poi... poi questo), quella che nel film riesce a smuovere Tommaso perché è l'unica a prenderlo di petto e ad essere totalmente impermeabile alle pose da finto intellettuale o agli stati "mestruati" che lui è capace di argomentare con un flusso di parole inutili. 
Ecco una foto dell'attrice:

La locandina, immagino lo sappiate, cita quel disegno dedicato a Sigmund e alla più incotrovertibile delle verità umane:

Comunque io poi ci ho pensato su, all'origine di tutti i problemi di Tommaso, e mi sa che non c'entrino nulla la madre o il padre, penso invece che tutto si possa ricondurre a quella volta che Quino...

CB ANTEPRIMA • Autobahn - Fuori controllo

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Autobahn - Fuori controllo 
Trama: Autobah 

Prima di tutto bisogna chiarire che non è un film sulla storia dei Kraftwerk. Anche se sarebbe stato meglio.
Parlando di Felicity, a me pare che Felicity non stia facendo proprio delle scelte molto felicity. Cioè a parte Rogue One, dalla candidatura all'Oscar in poi me la ritrovo in film che lasciano il tempo che trovano. Inferno... questo crime-action automobilistico... ora capisco che a un film come Inferno non puoi dire di no, ma a un altro film che ha per protagonista Nicholas Hoult, puzza di sòla lontano un miglio, che non ti ricordi l'ultimo? Tu gli devi dire di no.
Non devi mai farti fregare dalla presenza nel cast di due mostri sacri come Anthony Hopkins e Ben Kingsley, quelli ormai accettano lavori a cottimo perché hanno una sfilza di nipotini che manco si ricordano i nomi valli a fare te tutti i dannati regali di compleanno e Natale e onomastico (questo poi è il più difficile visto che non ti ricordi i nomi) a tutti quei cavolo di nipotini.
Autobahn - che in originale si chiama Collide, un titolo francamente molto più vendibile di "autostrada" in tedesco, le vie dei titolisti italici sono sempre più a senso unico - è un grande vorrei ma non posso, in cui la trama criminale è un pretesto per fare qualche inseguimento riuscito male e raccontare una storia d'amore.
Ragazzo americano si ritrova immischiato in lotta criminale tra mega-boss cattivissimo, del tipo tutto serafico, che ti racconta quanto era bello andare a dare da mangiare ai piccioni al parco e poi ti strappa le unghie con lo stesso tono pacato nella voce, ovviamente interpretato da quel tomo di Hopkins vs altro criminale però del tipo pazzo estroso completamente fuori controllo che si ascolta la musica a palla con le cuffie sventolando pistole con l'impugnatura di corallo e citando Frank Sinatra e tu non sai mai se ti sta per sparare o dare una pacca sulle spalle. Insomma la stessa differenza che passa tra Gus Fringe e Tuco Salamanca in Breaking Bad. Pericolosi uguali, per i motivi opposti.
Il ragazzo si innamora di Felicity Jones (chiamalo stronzo)

e accetta il famoso "ultimo lavoretto" per sistemarsi e pagare le di lei cure mediche (ah sì, c'è anche il tempo di farle venire non ricordo che malattia incurabile ma invece curabile se hai tanti denari).
Ovviamente va tutto a scatafascio e la cosa prende la piega della corsa contro il tempo, contro lo spazio, ma sopratutto contro gli autovelox.
Collide (mi piace più chiamarlo Collide perché non mi ricordo mai dove mettere la h in Authoban) mi ha fatto pensare a quanto sono bravi quelli che fanno i trailer. Infatti il divario tra trailer, che è fico:

e film, che invece è una accozzaglia di scene senza una precisa direzione, è davvero enorme.
Collide alle volte vuole essere Fast & Furious, altre Crank, altre Romeo + Giulietta, altre The Snatch, altre Need for Speed, altre S7evin, poi ti rendi conto che più di tutti sembra Nerve: non è altro che un film fatto per i ragazzini, ma con meno neon (meneon, quindi.)
Passi che Anthony e Ben stanno lì per fare dei soldi e recitano usando il "generatore automatico di interpretazioni Hopkins/Kingsley, la cosa più brutta è che la presenza di Felicity è del tutto accessoria. Non fa NIENTE.
Cazzo gliel'ha appena messa nel sedere all'Impero! Mi aspettavo qualcosa di più oltre che fare l'angelo nella neve in collant (che ok, è sempre un piacere vedere dei collant, ma insomma...) e poi starsene tutto il tempo ad aspettare che Nic manocalda finisca il lavoretto.
Le scene d'azione automobilistica neanche sono particolarmente degne di nota (rivedersi F&F), e l'ambientazione tedesca sembra più un modo di dare un senso esotico al tutto piuttosto che una scelta sensata di "ambientazione diversa da quella americana perché è importante" (rivedersi Bourne).
Il fatto che il primo casting prevedesse Zac Efron e Amber Heard come protagonisti mi dovrebbe dire qualcosa. Già, ma cosa? Pensiamoci per 22 minuti:

A latere del film ho scoperto che Felicity è stata fidanzata dieci anni con un artista. 'sto tizio qui, tale Ed Fornieles

Che fa queste cose qui:


Be' mi piace molto il senso intrinseco della scelta non convenzionale che l'artista fa nel rappresentare il quotidiano destrutturato nel sistema compresso e complesso di un mondo allo sbando che tende all'infinito ma difficilmente sottende al significante dello straordinario in quanto deus ex machina del piacere edonistico che ammanta la vita delle star, no? Giusto? Be' io ci ho visto questo. Questo e un nuovo altissimo significato della frase "braccia rubate all'agricoltura." 
Comunque stando a Wiki si sono lasciati. Credo per manifesto imbarazzo di Felicity di dover spiegare l'"arte" del fidanzato ai produttori di Hollywood dopo che è entrata nel giro grosso.
Felicity non per dire ma anche io sono libero eh. Chiama Julianne e Natalie... fatti dire... poi sentiamoci.

CB ANTEPRIMA • Resident Evil - The Final Chapter

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Resident Evil - The Final Chapter 
Trama: Lotto per Milla 

Prima di tutto bisogna capire che RE è diventato Hunger Games:
Ah non è uguale a Hunger Games 'sta locandina? 
È uguale, persino la font.
No, a parte tutto, oltre alla locandina non è diventato HG, perché HG è la storia di una ragazza che si ribella allo strapotere di una dittatura e alla fine che sia pure fica diventa persino un fattore secondario. RE invece è la storia di una che continuano a vestire come una killer di zombi solo perché a 41 è ancora una topa impressionante. 
Il film invece è vecchio che potrebbe essere il ritratto di Dorian Gray di Milla, lei rimane topa mentre la serie invecchia sempre di più capitolo dopo capitolo. RE è rimasto incollato, impantanato, bloccato a quello che era nel 2002, e già non che fosse 'sto capolavoro: un baraccone incasinato con effetti speciali brutti che si attaccava tipo parassita al videogioco e regalava a Milla Jovovich il ruolo della vita, e anche l'unico in cui era tutto così incasinato che il fatto che lei sia un'attrice cagna (non è MAI stata brava. MAI.)
passava in dodicesimo piano.
Vedere il sesto capitolo di RE (dopo, non senza un certo sgomento, aver scoperto di aver visto tutti gli altri, tipo questo e questo) è stata una brutta esperienza. È stato come comprarsi a 70mila soldi il nuovo RE per PS4, metterlo dentro e trovarsi questo:
Che poi per carità il primo RE per PS1 era un gioco irripetibile, su questo non ci piove. Ma uno vorrebbe quatomeno un miglioramento nella grafica.
Invece questo Capitolo Finale (SPOILER! Non lo sarà! Maffigurati se lo sarà...) si ripete la stessa identica struttura dei precendenti 5, se mai ce ne fosse stata una. Una cosa riassumibile in spara spara ammazza ammazza corri corri spara ancora spara ancora repeat. Ma siccome c'è un limite a tutto, ivi compreso il concetto di "questi sono gli elementi che hanno resa famosa la serie quindi non si cambiano", qui tutta l'azione che c'è è talmente ripetitiva che sembra di fissare per un'ora e mezzo il brusio delle tv senza segnale:
Unica nota positiva aver visto per la seconda volta in un mese il visetto incazzato e sexy di Ruby Rose, anche se nello stesso identico personaggio (la fica con la pistola)
Queste foto, che dovrebbero essere foto simpatia extra-riprese ad uso e consumo dei social


non sono poi tanto lontane da quello che davvero fanno i personaggi del film, nel film. Cioè fanno più ridere le pose tutte serie che assumono nel film, che quelle ridere delle foto.
Questa invece è la mia faccia quando sono uscito dalla sala
Resident Evil Final Chapter è un film che non può e soprattutto non DEVE piacere, perché è ancorato a un'estetica da 2002 (ti ricordi quelle cose tipo Equilibrium, Aeon Flux, Ultraviolet... non era un caso che facevo quei grafici a "che pizza!"), che poteva pure andare bene allora, ma oggi è superata come la grafica della PS1. Magari sei un retrogamer, ma per retrogamer si intende gente che gioca ai coin-up degli anni 80, non a Resident Evil 1, ci scommetto.
Una serie come Fast & Furious ha saputo cambiare passo e adesso ogni film è un miliardo di dollari assicurato. RE non conosce il concetto di reboot e diventa solo un altro film da confondere con quello precedente. Che comunque già era brutto.
L'unicissima scena degna di un sorrisetto è l'autocitazione della stanza affettatutti del primo RE.
Che faccio lascio?
Per il resto, meglio riaccendere la PS4, cosa che non faccio esattamente da 10 mesi, e comprarsi RE7 con tanto di occhialoni 3D.
Ormai l'unica cosa che potrebbe salvare questa serie è prenderla veramente a ridere e iniziare a fare scene sceme tipo "killing in the rain i'm killing in the rain" con Milla che balla usando questo Umbrella qui
Oppure fare che la nuova distruttiva invasione che distrugge Racoon City è opera loro:
Dai fatelo.

CB ANTEPRIMA • Moonlight

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Moonlight
Trama: STORIA NERA

Prima di tutto un applausometro che rompe le barriere del suono (sarcasmo) a chi ha deciso che la FAVOLOSA locandina originale, questa
dovesse essere concettualmente annichilita (nell'originale un uomo - tre vite. In quella italiana tre uomini - una vita. C'è differenza.), graficamente svilita e vilmente riempita di centomille scritte e stelline rassicuranti e (questa la cosa più ridicola e patetica) con l'aggiunta di quei bullet point in alto "a chi è piaciuto" che la riduce a una comunicazione del tipo  "Ehy! Trattonsi di film di negri! Film simile a 12 anni schiavo e Selma! Film di vita complicata negra! Correte al cinema se vi avete amato!" quando invece: NO.
Ok, Moonlight è vita complicata negra, ma sono complicazioni lontane mille miglia dai problemi di schiavitù di Solomon o quelli poitici di Martin Luther.
In Moonlight, se proprio vogliamo, la questione razziale è proprio quella meno problematica. Anche perché di bianchi non c'è manco l'ombra.
Riassumiamo la trama di Moonlight ripescando la stupenda recensione illustrata che Margherita mi manchi ma quando arriva il Festival der Firme de Roma sempre troppo tardi non ne possono fare tre all'anno ora chiamo Weltroni fece del film:

A parte che ora che ho visto il film fa ridere cento volte di più, ma davvero c'è tutto anche del film. Bisogna dire che Marghe è stata un po' cattiva ma lo sai che mi piacciono le ragazze cattive con il povero Little/Chiron/Black.

Moonlight non è un film sul crack. Non è un film sulla vita di periferia. Non è un film sull'omosessualità. Non è neanche un film sui neri d'america.
Moonlight è un film sulla dolcezza.
(Sì. Sta per partire la sviolinata di CB sui sentimenti. Troppi mershmellow.)
Un film su quella dolcezza che riesce a esistere nonostante tu sia un nero di periferia gangsta, gay, menato da tutti, con la madre fatta di crack e tutto fa schifo e le possibilità di miglioramento sono lo 0,00001%.
Sdolcinato? Che ci posso fare se parla di questo? Perché parla proprio di questo. Di quanto può dirti merda tutto, ma se sei uno spirito sensibile ci sarà sempre una forma di annichilimento che farà da filtro, che non ti renderà cattivo pure a te. Più duro. Più coriaceo. Ma più cattivo, quello no.
Che il protagonista sia gay c'entra così poco. Come il fatto che sia nero. L'amore che prova - sto per dire una frase degna del poster italiano - non ha genere né colore (ho scritto questa recensione prima di tutta la cosa "un'amore" di ieri eh).
È amore, punto.
Ricorda la dinamica di quel film, Weekend, che raccontava sì una storia gay, ma guarda un po' era prima di tutto una storia d'amore, che fosse gay era praticamente marginale, perlomeno rispetto ai sentimenti puri, ai due protagonisti.
Moonlight è un film diviso in tre, tre capitoli distinti e conseguenziali. I fatti del primo capitolo ricadono sul secondo, e quelli del secondo sul terzo, e sembra quasi che quelli del terzo possano fare il giro e tornare indietro, al primo.
I personaggi che incontra il protagonista nell'arco della sua vita ne tracciano il percorso: una figura paterna che non ti aspetti da uno spacciatore che gli insegna come stare a galla (letteralmente)

un amico (anzi qualcosa di più) che si rivela pavido quando deve affrontare un branco di bulli che malmena Chiron, una madre che pensa solo alla droga e un'altra madre acquisita che sa trattarlo con tenerezza. 
Personaggi che lo formano e che fanno di Little Chiron, e di Chiron Black, sempre con quella dolcezza di fondo, che nessuno può eliminare: nonostante abbia tutto il diritto di provare rabbia e di distruggere tutto quello che lo circonda, non la prova, non distrugge, deve solo imparare a costruirci qualcosa sopra 
Invece subisce e vive. Non tanto perché è un martire, ma solo perché se si nasce sensibili, questo è quello che si fa, si subisce e si vive. 
Il finale per me c'è un barlume di speranza, non so se vi farà lo stesso effetto.
Sul dialogo, anzi sulla mancanza di dialogo, sono giocate gran parte delle dinamiche del film. Little/Chiron/Black è quasi muto, non riesce proprio a farli uscire i sentimenti, che lo spaventano anche quando non spaventano gli altri. Una timidezza quasi patologica lo fa pecora in un mondo di lupi, fino a quando non è costretto a diventare così:

perché se devi trovare un suo posto nel mondo degli spacciatori negri di periferia è meglio essere così

piuttosto che così

Un posto che, nonostante i denti dorati e il six pack, non sente per niente suo.
Può esserci dolcezza anche nelle più sfortunate delle vite? Moonlight cerca una risposta a questa domanda e la trova in un film "all black" lontanissimo dalle dinamiche da piagnisteo tipiche della cinematografia afroamericana. Proprio 12 anni e Selma sono due esempi perfetti: raccontarmi di neri sfortunati perché NERI coi bianchi tutti intorno che gli urlano e frustano e vogliono malissimo suona sempre un po' di furberia, non dico falsità, ma un territorio dove strappi facilmente la lacrima.
Moonlight racconta la vita di un uomo, la sua crescita, il suo cercare quel posto nel mondo che non ti faccia sentire scomodo, trovare la risposta a una domanda che gli fanno sul finale: Chi sei tu Chiron?



Non è la risposta che cerchiamo tutti? Non è la dolcezza quella che cerchiamo tutti? C'è un modo di essere sensibili anche facendo le cose più cattive? Sentimentalmente parlando, non c'è cosa peggiore che essere cattivi, con la consapevolezza di farlo, no?
Di certo se mi chiedete "Cos'è Moonlight?" io rispondo "Un bellissimo e inaspettato film."
Probabilmente il 26 sarà fagocitato dalla furberia danzereccia di La La Land, ma se c'è un amore che vale la pena di essere ricordato a questi Oscar, di certo è quello che Chiron non riesce a esprimere a parole, ma solo negli sguardi.
A proposito di Oscar. Naomie Harris, mamma male, è candidata. Per quale motivo non è dato sapere. È palesemente trascinata dall'entusiasmo per il film. Cioè allora l'oscar se lo merita anche lei.
Ecco le altre candidate, che sono le STESSE dei Golden Globe (poi dici un po' la noia). 
Anche qui un mistero. Quest'anno sembra che le lezioni "Pianto, come farlo sembrare vero" siano servite molto.
Gli altri tre film non li ho visti. Li vedrò. Li vedrò?

2x1 • Saluti da Adolf

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Sembra un po' insensibile da dire ma quest'anno si profila un grande trend: la Guerra. 
Non la III, quella che sta lì lì per scoppiare tra tra Trumputin
vs Kim Jong-un
ma proprio la II, quella che invece sta sparendo anche un po' dalla memoria perché ormai chi l'ha vissuta o è morto o ha 290 anni e non sapendo usare gli smartphone non riesce a far arrivare i suoi ricordi neanche tramite meme, infatti poi vedi quel progetto fotografico di Selfie+Olocausto e insomma, un po' di stucco ci rimani a pensare che la gente VERAMENTE si fa le selfie sexy sui momumenti alla memoria o coi sorrisi a 32 denti con la scritta Arbeit macht frei dietro. Poi gente con 50 MILIONI di follower su YouTube si mette a fare apologia del Nazismo e proprio scoppia il cervello.
Quindi questa cosa che stanno uscendo mille film che raccontano la II Guerra Mondiale - dall'inizio dell'anno ne abbiamo già visti un bel po' anche se in luoghi geografici e con intenti diversi: c'è stato quello di Gibson, poi Bradillard, quello sull'attentato a Heydrich e poi ho visto anche quello di Pif che ne parliamo settimana prossima - è una cosa buona per carità, mai scordarsi il vecchio adagio: non dimenticare per non ripetere gli stessi errori. 
Adagio che in effetti sembra sempre un po' vuoto, il famoso albero che cade nella foresta deserta, visto che tanto MAI il ricordo di una guerra precedente è servito a evitare una qualche guerra in qualche parte del mondo. Ma proprio dalla notte dei tempi eh.
Ci riusciranno i film? Ovviamente no, ma sempre meglio che esistano piuttosto che no.
Comunque, come già dicevo non ricordo in quale delle recensioni linkate, a proposito dei film su quel periodo nefasto mi piacciono sempre di più quelli che raccontano gli atti di resistenza urbana piuttosto che quelli da trincea. 
Ecco che quindi seguo e alimento il trend vedendo due film STORIA VERA (logico) che proprio di due atti di resistenza piccoli - ma ovviamente giganteschi - raccontano.
Lettere da Berlino
Trama: Stiamo tutti male. XXX

Una coppia di mesti berlinesi, Otto e Anna Quangel, che Hitler lo ha pure votato e che essendo tedeschi di nascita non subisce le morse della persecuzione nazista, perde il figlio in guerra. Sbem. Il dolore fa cadere il velo di Maya tipico di quelli che eleggono il loro dittatore senza neanche accorgersi delle conseguenze, e da quel momento i due iniziano a scrivere e a lasciare in giro per Berlino delle cartoline che inneggiano alla pace e alla consapevolezza del Male chiamato Adolf nella speranza che possanno istillare un barlume di consapevolezza in quelli che le trovano.
Le cartoline vengono lasciate in luoghi sempre più pericolosi e strategici. 
Le cartoline vengono inesorabilmente consegnate alla polizia, che mette un ispettore caparbio sulle tracce del/dei sobillatori anonimi. L'ispettore dovrà anche lui ricredersi su certi metodi non proprio ortodossi dei Nazi.
Non vi aspettate cose tipo Schindler's List o Il pianista o Train de Vie o  altri capolavori del genere perché siamo lontanissimi da quei picchi di genere, ma Lettere da Berlino è così come si presenta, una storia vera in formato fiction sorretta tutta dal suo cast.
Mi chiedo per quale assurdo motivo Brendan Gleeson non ha cento oscar, o perlomeno nomination, sul camino. È inspiegabile, ci manca solo che alla fine il figlio (attore pressocché inguardabile per me) faccia più successo del padre.
La sua presenza scenica salva il film dall'essere un prodotto televisivo (per quanto fatto bene). Poi ci sono Emma Thompson (cioè in pratica Malocchio Moody 
e la Cooman 
si sono sposati, hanno preso un Giratempo e hanno cercato di sconfiggere un altro despota pazzo, vedi...) e Daniel Bhrul, anche lui sempre bravo a fare il nazistello antipatico, sin dai tempi di Bastardi senza gloria.
Un film di seconda fila, ma che va benissimo esista.
Sempre in qualche recente recensione (recentione, quindi) avevo chiamato in causa quel tizio che aveva costruito da solo una bomba per ammazzare Hitler facendosi chiudere ogni notte nel pub dove il fuhrer avrebbe dovuto tenere un discorso dopo qualche mese, e mi chiedevo com'era possibile che non ci avessero ancora fatto un film ci hanno fatto un film:
13 Minuti
Trama: Bomba pacco

Il sottotitolo del film è "...che non cambiarono il mondo" AH GRAZIE DELLO SPOILER!
Ah già... fosse andato in porto l'attentato l'avremmo saputo alle elementari... vabbé... però quanto rimanemmo sorpresi quando vedemmo 'sta scena eh?
Insomma questo Georg Elser, anche lui tedesco, attentò alla vita di Hitler DA SOLO. Se non è un grande 'sto tizio, non so chi altri.
Però l'attentato andò male e la bomba esplose 13 minuti dopo che Adolf aveva lasciato la sala, ammazzando pure otto persone, ma non il bersaglio.
Il film ci racconta molto il prima e molto il dopo la sera dell'attentato, allungandosi  sulla vita da civile di Elser, sulle motivazioni (abbastanza chiare se viste col senno di poi, ma vivici tu da tedesco nella Germania Nazista con idee antinaziste) e sull'interrogatorio/tortura subìto una volta catturato, quando  i nazi proprio non ci volevano credere che aveva pianificato tutto da solo. Eppure.
Il film mi racconta per quasi tutto il tempo le avventure amorose di Elser, invece avrei voluto un film ansiogeno, se la potevano veramente giocare sulla claustrofobia. C'è anche che la palese antipatia (attore e personaggio sono da schiaffi in faccia fissi), e il fatto che tutto sia impacchettato con una grana ben al di sotto dell'importanza della storia che racconta affossa il film in un prodotto questo sì televisivo, e pure bruttarello.
13 minuti in mano a un grande regista (che poi il regista è quello de La Caduta, bel film, anche se tutti lo ricordiamo per il LOL

un ancora miglior sceneggiatore e con un attore degno di questo nome, sarebbe stato un grandissimo film. 
Comunque lo potete trovare su RAIplay. Capisco che aver appena detto che fa abbastanza schifo e poi linkarvelo non è la più coerente delle azioni, ma in questi tempi, sull'orlo della III Guerra Mondiale, chi ha più bisogno di coerenza.
Prossimo appuntamento con la Guerra il nuovo di Nolan:

SIAMOVIE SERIAL • La mafia uccide solo d'estathé

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Un personaggio come Pif, nel panorama televisivo e cinematografico italiano è proprio una manna. È necessario oserei dire. Uno che ha fatto Il Testimone merita tutto il rispetto e le risate possibile, lui con il suo fare spaesatissimo in mezzo alle più assurde situazioni del mondo. E con quel tono cazzone che però ti mette, di volta in volta, tristezza, rabbia, malinconia, divertimento come molti dei programmi che riempiono la TV (ok. sto parlando di una cosa che non conosco. non succede mai no? non ho la TV dal 
Le puntate sono tutte QUI e VANNO viste, proprio senza giustificazioni.
Pif poi ad un certo punto si è messo a fare cinema, con l'esordio La mafia uccide solo d'estate. Mi era piaciuto, non in visibilio, ma mi era piaciuto.
Un anno e mezzo fa ho scritto a Pif per la prefazione (la piffazione quindi) di un libro che vabbé avevo scritto tra una recensione e l'altra e mi ha risposto che non poteva perché sava finendo
In guerra per amore
Trama: Ah! Sì! No! volante...

MA COME HAI DETTO NO ALLA PREFAZIONE DEL LIBRO FONDAMENTALE DEL MONDO per il tuo film?! La reazione vi stupirà: sono stato contento che avesse preso anche solo quel minuto per scrivere la risposta, invece di chiamare l'avvocato per denunciarmi del fatto che avessi la sua mail privata. La stima continuava a crescere. 
Il film è contro la mafia mascherato da film d'amore mascherato da film di guerra. 
Di certo un progetto ambizioso, e forse troppo, perché qualcosa non funziona. Si direbbe che aver mascherato una cosa per un'altra e poi un'altra ancora abbia coperto di troppi strati il vero cuore del film, che poi è sempre quello: l'amore per la Sicilia. 
Sembra che questa cosa sia particolarmente comune nei registi siculi, basta pensare a Tornatore, che appena può torna sull'isola o a Scimeca, insomma la Sicilia più di altre regioni sembra appiccicarsi ai suoi registi.
Per Pif è di fondamentale importanza unire l'intrattenimento stralunato che regala il suo personaggio un po' picchiatello, ultimo dei romantici, immerso in situazioni più grandi di lui, che lui affronta con candore e quindi con sincero sentimento. Pif va in guerra (la II Mondiale, eccone un altro per il trend di cui parlavamo ieri) per motivi tutt'altro che patriottici, ci va per andare a costo zero fino in Sicilia, dall'America, per chiedere la mano dell'amata, che tanto sta col figlio di un boss newyorkese, sì è ingarbugliato, ve lo dicevo che ci sono troppe cose) e in questo film in particolare non si distanzia poi molto dal Benigni di La Vita è Bella.
C'è una strana eco che perdura per tutto il film: che il progetto fosse un tantino troppo ambizioso? In costume. La guerra. La mafia. L'amore. L'amicizia virile. C'è tempo anche per l'omosessualità, le barriere architettoniche, lo scontro religione-politica... ecco, forse troppe cose. Ognuna di queste forse spalmate in un episodio de Il Testimone sarebbe stata meglio approfondita.
Il film non ha quella forza che regala il contrasto risata-impegno che è la vera cifra stilistica di Pif, quello che lo rende speciale su tutti.
Ecco, i suoi format, così leggeri e così profondi, funzionano sulla lunghezza, come dimostra
La mafia uccide solo d'estate. La serie
Trama: Campo minnato

Che sì è la versione allungata del film, ma funziona tutto e forse anche di più, con più aria, appunto.
Si respira la stessa aria de La meglio gioventù, quelle operazioni che mischiano la storia dei piccoli - in questo caso una tipica famiglia italiana degli anni 70, con tutte le speranze, gli scontri, la quotidianità che conosciamo bene, sia dai film che dalle famiglie nostre - alla Storia con la S maiuscola, e lo fa bene, con delicatezza.
I Giammarese fanno di tutto per non guardare in faccia la Mafia, ma la Mafia, all'epoca di una sfrontatezza e potenza oggi quasi dimenticata, ma spaventosa, non poteva non intrommettersi in tutto quello che chiunque vivesse in Sicilia (e non solo) all'epoca.
Ecco, se proprio un piccolo appunto si può fare a questo serial (andato in onda sulla RAI, probabilmente è questa la causa) è di "edulcorare" proprio la spietatezza terrorristica della Mafia, che uccideva, distruggeva, faceva saltare in aria, controllava l'Italia a pie' spinto: i mafiosi sono tutti troppo "macchiettistici", quasi ridicoli, fanno meno paura di quello che dovrebbero.
Ma per il resto, dalla scrittura agli attori (AH! Anna Foglietta è più convincente da sicula che da romana qual è di origine e SORPRESA! il bel siculo Francesco Scianna è BRAVO! pazzesco eh, se ti ricordi l'ultima volta che l'hai visto...), alla voce off di Pif (ormai un marchio di fabbrica) rende il tutto una produzione come ce le dobbiamo augurare sempre. Giammarresi - Cesaroni 1000 a 0.
Rivedetevi Il Testimone. Amunì

CB ANTEPRIMA • Jackie

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Jackie
Trama: Jackie Down

A Pablo Larrain interessano più di ogni altra cosa i filmati d'epoca. 
Come fossero specchio del contemporaneo (lo sono.), Larrain li inserisce nei suoi film in una modalità da regista un po' ossessivo: li rigira, li ricostruisce, li rifà shot-for-shot, in un processo di cartacarbone che stupisce per maniacalità (ci sono making of in cui si vede Pablito che sovrappone in trasparenza il suo girato al filmato d'epoca e i due corrispondono alla perfezione), il risultato è cinematografico e documentaristico al tempo stesso. Ma la qualità vera del regista (e non l'opera di un mezzo matto) si sente quando quei filmati ricostruiti riescono a fondersi alla perfezione alla parte fiction, diventandone una parte fondamentale.
Nei biopic è una pratica usuale mettere i filmati dell'epoca, quelli veri, tipo Istituto Luce per capirsi, o la cosa di mettere sempre le foto dei veri protagonisti alla fine dei film STORIA VERA. Lo si fa perché video e foto vere ti portano indietro nel tempo e ti sbattono in faccia la realtà che il film vuole ricostruire. Ti dicono "guarda che è successo veramente. Sì ok questo è un film e magari ti stai distraendo perché gli attori sono famosi, ma la Storia è una cosa vera. C'è da millenni, la Storia, e anche se sei abituato a pensare che sta solo nei libri, invece è vera. E pensa un po', ti riguarda." 
Ricordate NO (no, dico, ricordate NO? Sì, ricordate, NO... vabbé...), il film sulle elezioni cilene vinte dai Mad Men dell'epoca, era di Larrain ed era bellissimo, e anche lì i filmati d'epoca erano ricostruiti in maniera maniacale ed erano veri protagonisti.
Ora a Larrain hanno aperto, meritatamente, le porte di Hollywood. E lui ha scelto di raccontare una storia che con i filmati d'epoca c'entra tantissimo, anzi ha scelto di raccontare ciò che accadde subito prima e subito dopo di quello che è, insieme al video dell'attacco delle Torri, a quello coi poliziotti che massacrano Rodney King, all'uomo che saltella sulla luna e a qualche impresa sportiva che ora non ricordo, il filmato più celebre della storia americana, lo Zapruder Film:

Se in JFK di Oliver Stone il filmato Zapruder viene sezionato e analizzato fotogramma per fotogramma in cerca di una spiegazione, di una cospirazione, dei proiettili magici, in Jackie viene quasi del tutto dimenticato, a favore di un altro filmato d'epoca che, per l'economia del film, diventa un'impressionante (impressionante!) testimonianza A) di quanto la vita di un First Lady non è fare la ricca e cambiare le tappezzerie delle stanze della Casa Bianca, ma piuttosto mettersi una maschera e diventare una sorta di tiro a segno per un intero popolo (quello americano poi, che certo non brilla in intelligenza) e per un cecchino vero e proprio B) di quanto è brava Natalie Portman. 
Il filmato è questo qui:

Nel film lo rivediamo quasi tutto, ma recitato da Natalie. La sensazione è straniante e dimostra perché Larrain si sia fissato nel ricostruirlo: è successo davvero, anche se c'è Natalie dentro, vederlo con la vera Jackie dimostra che era Storia, non cinema. 
Ma certo, poi c'è il fattaccio, quel momento un po' così di quando stai in macchina con tuo marito e a quello gli esplode la testa e tu l'unica cosa che puoi fare e raccogliere i pezzi e tenergli la calotta cranita al suo posto con le mani.
Quello che è successo a Jackie avrebbe mandato fuori di testa (!) chiunque, chiunque, e infatti, tra le reazioni della Kennedy ci sono momenti di sconforto infinito, pianti, ma anche una forza impressionante, una risolutezza inquietante e delle scelte impavide (il funerale pubblico voluto da Jackie poteva far concludere la mattanza dei Kennedy, mettendo dei bei bersagli rossi sulle teste dei ragazzini e su lei stessa ex-first lady dichiarava che l'apertura della stagione della caccia ai Kennedy non le faceva paura. La stagione durò fino a quando hanno ammazzato anche Booby. Oh, i Bush e i Trump non li ammazzano mai eh...), che l'hanno resa davvero umana, non come quando devi sorridere per forza in un filmato in cui accompagni per mano gli americani in una casa che non è la tua e che tanto prima o poi dovrai lasciare. Se poi la devi lasciare vestita di nero col feretro di tuo marito, diventa ancora più folle, anche perché tutti gran parte degli americani pensano di provare il tuo stesso dolore. Ma c'è una bella differenza, uno schermo trasparente tra lei e loro.

Jackie non era un biopic facile, ma lo sguardo ester(n)o di Larrain (un cileno, uno che viene da un paese che ha una Storia sulle spalle che altro che un attentato al presidente) serve proprio a raccontarci senza americanismo ('sto film in mano a un Eastwood o uno Stone, appunto, sarebbe stato un disastro) una tragedia personale (ricordiamo: stai in macchina, ti giri. Senti un botto. Ti rigiri, hai il cervello di tuo marito sul tuo completo Chanel rosa.) che diventa tragedia di tutti


Jackie non è assolutamente un film perfetto, si porta dietro tutti i soliti problemucci dei biopic, in primis il più grande, cioè quello di essere fagocitato dalla bravura dell'interprete principale (tipo Iron Lady o Capote) e anche una certa ripetizione dei concetti (che rendono dei passaggi pure un po' ridondanti), ma tra il gusto della ricostruzione (anche la Casa Bianca è stata ricostruita, annullando la mia certezza che da qualche parte a Hollywood c'è una copia precisa della Casa Bianca che poi le produzioni affittano e ci mettono dentro di volta in volta i vari X-Men, Channing Tatum e Kevin Spacey e tutti gli altri mille che fanno i presidenti nei film) e la bravura di regista e attrice, diventa già uno dei migliori del 2017, finora.
Natalie giganteggia, con un accento innaturale, una tristezza sempre composta e quella bellezza che vabbé. Lo merita l'oscar? Le candidate alla Miglior Attrice sono (link nelle foto):

Credo che la vera battaglia sia tra Natalie ed Emma, e mi chiedo, nell'economia della scelta, se dovrebbe vincere l'attrice chiamata a interpretare una vedova nelle ore più terribili e tragiche della sua vita, una prova che come l'affronti l'affronti, non deve essere stata per nulla facile, oppure l'attrice che ha dovuto ballare tutto il tempo con Ryan Gosling e fare questo:

No per carità, difficile tutto sempre eh, però... a parità di difficoltà interpretare una donna innamorata che balla e canta tutto il tempo rispetto che interpretare una donna innamorata che deve tornare a casa (bianca o non bianca) e togliersi i pezzi di cervello del marito dai capelli...

Per dire eh...
C'è però da dire che è dal 1998 che si vincono oscar per personaggi realmente esistiti. Solo lo scorso anno tre! È anche bello  pensare che si premi la costruzione di un personaggio senza che l'attore abbia dovuto "copiare" accenti e movenze.
Chissà se quando si incontrano il 26, Natalie e Michelle si accapigliano, sai... per quella storia di Jackie vs Marilyn...
Comunque Jackie l'oscar l'ha già vinto.
Natalie Portman sfornafigli di Millepied (ma perché io non ho un cognome così? Perché!?) è sempre bellissima. E pensare che quando stavamo insieme... 

Comunque, a parte JFK che è il vero capolavoro di Oliver Stone e su quello che successe a Dallas quel giorno senza se e senza ma, e dimenticati film che raccontano i Kennedy (ricordo questo e questo, e la serie TV che non ho mai finito di vedere e quella invece che ho finito), il vero supporto audiovisivo imprescindibile se si vuole approfondire la conoscenza di quei giorni è il doppio episodio di Quantum Leap in cui Sam diventa Lee Harvey Oswald. Bellissimo, tanto da mettervi il link anche se potrebbe partire un'investigazione dell'FBI, CIA, KGB, MOSSAD, Oliver Stone, Otto il bassotto e Signora in Giallo.

CB ANTEPRIMA • Barriere

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Barriere
Trama: Denzel Dormibon

Denzel Washington porta sul grande schermo la piece teatrallora stavo in questo albergo gigantesco. C'eravamo io, un tizio che conoscevo e un'altra che conoscevo (sì anche in senso biblico) ed eravamo asserragliati in una stanza perché fuori c'erano degli zombi. Sempre paurosa l'apocalisse zombi. L'unica via di fuga poteva essere passare dai terrazzi. Era uno di quegli alberghi con i terrazzi tutti uno accanto all'altro, ma il vero problema sarebbe stato passare su quello sotto, via via fino a terra, ma poi una volta a terra? Era pieno di zombi pure lì. Una bella gatta da pelare. A un certo punto uscivo e vedevo delle manine spuntare dalla balaustra e cacchio c'era un ragazzino zombi che si stava arrampicando. Bisognava buttarlo giù ma non eravamo ancora in quel momento dell'apocalisse zombi dove ormai c'hai fatto il callo e ammazzi gli zombi come fossere moscerini, erano ancora persone per noi, era l'inizio, quindi prendere le manine dello zombetto e buttarlo già non era proprio facile. Qualcuno doveva pur farlo però. E quindi mi immolavo. Una volta fatto però una strana calma sembrava impossessarsi di noi. Forse era una sorta di barriera mentale del tipo "cosa più terribile di questa difficilmente potrà succedere, insomma buttare un ragazzino da un palazzo". 
Denzel Washington parla al fulmicotone per le scene che ho visto, parla parla parla parla solo lui, quasi stesse cantando un blues, gli manca solo la tromba. Bravissimo per carità, e anche Viola Davis che si porterà a casa finalmente il suo Oscar. Questo comunque è l'anno dei film all black. La Davis è bravissima davvero, contraltare pacato e sottomesso al vomito dialettico del maritero in macchina. Viaggiavo a una velocità abbastanza sostenuta ma non tanto da sentire un pericolo, o  sentire di esserlo. A un certo punto una sorta di pulmino, o meglio una di quelle macchine molto grosse che vorrebbero essere pulmini ma non lo sono mai veramente, mi tagliava la strada. L'impatto era inevitabile ma la cosa stranissima era che non c'erano lamiere o scintille. Era come se la macchipulmino fosse fatta di plastica, di materiale gommoso, di bolla di sapone: l'attraversavo, al ralenti, e passando, dicevo all'autista (che a quel punto mi stava vicinissimo, alla mia destra) "ma le giuro che sto spingendo il freno ma non funzionaaaa". Attraversata la macchina continuavo il mio viaggio e arrivavo all'appuntamento. Parcheggiando facevo di nuovo un incidente. Finalmente fuori dalla macchina mi dicevo proprio "oh ma che succede oggi". il tempo di girarmi e la macchina l'avevano pure rubata!
La dimensione teatrale del film comunque è costringente eh. (Quasi tutto) recitato nelle quattro non-pareti di un patio di cui il protagonista sta costruendo la staccionata, le barriere (barriere reali - barriere interiori vabbé questa era facile), non aiuta molto il movimentarsi del film. I due protagonisti hanno già fatto coppia nella versione teatrale, iperpremiata, e lo sceneggiatore, August Wilson, due volte premio pulitzer l'ho appena letto su Wiki, è candidato all'oscar anche se è morto 12 anni fa e Mi baciavo tantissimo con una ragazza carina sotto a delle catene.
Ah. Come si dorme al cinema. Come si sogna al cinema. È bellissimo. Tu resisti, e sullo schermo tutti ti invitano a resistere, perché dannazione si sono fatti un culo come un secchio per recitare così bene, è impegnativo, contando anche la tematica del film e il fatto che sia evidentemente un film importantissimo per la comunità afroamericana che mai come quest'anno al cinema è rappresentata da grandi film e personaggi, e riconosciuta agli oscar anche con film per nulla faciloni o "come i bianchi vedono i neri" come al solito.
Però può succedere quello che ti pare, possono esplodere astronavi o esserci discorsi profondissimi o interpretazioni magistrali, ma quando finalmente non resisti più (chiudendo prima un occhio e poi l'altro) e ti lasci abbracciare da Morfeo, come stai bene.
Purtoppo poi quando vai a scrivere la recensione non puoi mettere né Chicken né Broccolo senza perdere in credibilità (eh. tutta quella credibilità...), perché il film in realtà non l'hai proprio visto, l'hai visto a pezzi, e anche se vorresti dare la colpa della tua narcolessia al film noioso, non potrai mai sapere se è veramente colpa sua o del fatto che avevi dormito pochissimo la notte prima o quel che è. 
Sai solo una cosa: esci dalla sala e pensi che dormire e sognare zombi, incidenti saponati e baci appassionati al cinema è bellissimo.

CB ANTEPRIMA • T2 Trainspotting

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T2 Trainspotting
Trama: Choose normalizzazione

Partiamo subito dall'assunto che no, se volete andare a vedere T2 con l'idea di ripetere tutto il tempo «AH! MALEDETTI! NON È GENIALE COME IL PRIMO! no, fate un favore a voi e agli altri e non ci andate. Scordatevelo proprio e fate finta che non esiste.
Perché sì, avreste ragione: T2 è lontano mille milioni di miglia dalla grandezza del suo predecessore. 
Niente è grande (e vi giuro che la nostalgia non c'entra) come nel primo: non lo è la regia, non lo sono gli attori, non lo è la colonna sonora, non lo è la sceneggiatura.
Non lo è neanche il nuovo mantra "Choose Life" versione 2.1 

Che poi anche quello del 1996 dopo averlo sentito, letto, visto su t-shirt al mercatino di Camden Town talmente tante volte che ormai suona vuoto pure quello.
Trainspottingè lontano 20 anni. E vent'anni si sentono, sulle facce, sulle schiene, nelle rughe, nei pensieri, nelle prospettive, nella vitalità di tutti quelli coinvolti.
Quei ventenni e questi ventanni segnano un solco profondissimo, probabilmente infinito tra i due film. 20 anni in cui sono successe tantissime cose, a loro e a noi: tra di loro c'è chi ha vinto l'oscar, chi si è dato alle serie TV, chi è stato Jedi e se ci pensi il fatto che nessuno di quei ragazzi sia veramente sparito dalla circolazione la dice lunga sull'importanza del primo Trainspotting nell'immaginario collettivo. Erano ragazzi senza futuro, quel film gli ha regalato a tutti IL futuro. A noi, be', ognuno lo sa quello che è successo negli ultimi 20 anni, ma quel film è sempre rimasto lì, con la colonna sonora che almeno quattro cinque volte l'anno la metti, con le frasi che le citi, con il poster omaggio che prima o poi senza nessuna particolare ricorrenza arriva (tipo questo degli amici Van Orton)
E allora T2 va preso così. Noi non siamo proprio quelli di vent'anni fa, neanche Traispotting lo è. E siccome non credo che ogni giorno voi vi svegliate la mattina, andate allo specchio e iniziate a urlare «AH! MALEDETTO! NON SEI QUELLO DI VENTI ANNI FA!» (se lo fate, un po' mi dispiace...) allora accettate anche l'immagine riflessa di Mark, Spud, Begbie e Sick BOy.
T2 è tutto un altro film. Non dovete incazzarvi se non sarà la botta che è stata il primo. La prima volta è sempre una cosa a sé, in tutto.
Nessuno si incazza quando Linklater ogni dieci anni fa uscire la puntata della sua dramedy Before the..., e allora pensate a T2 come un progetto, un ritorno, non una triste rimpatriata tra amici delle medie che non hanno più nulla da dirsi, piuttosto un incontro di uomini (e un paio di donne) che, venti anni or sono, hanno fatto una cosa grande, e per questo meritano rispetto anche se ora sono più imbolsiti, meno geniali e meno drogati.
T2 non vive nel passato, anche se il fan service è forte:
ma è un film nuovo, che ovviamente, in un periodo in cui l'ovatta circonda tutto, in cui tutto è stato provato, digerito e ricagato come la famosa supposta, nessuna idea o turbine registico può davvero stupire, nessuna tragedia cinematografica può davvero sconvolgere, nessun vuoto interiore può davvero impietosire. 
Abbiamo vent'anni di film e serie tv in cui è successo di TUTTO (violenze, droghe, omicidi, tragedie, incesti, TUTTO, pensate alla cosa più atroce che potete, scrivetemela nei commenti e io vi dico in che film o serie la trovate. O vi rispondo già qui Game of Thrones e ho fatto.) e forse la scelta più oculata di Boyle & Co. è proprio quella di non spingere l'accelleratore sullo sballo e sulla tragedia (che erano i due elementi fondamentali del primo, anche se ti ricordi le scene divertenti dell'incontinenza di Spud.) 
T2 ha dei toni da commedia decisamente più marcati rispetto al primo, e la droga ricopre un ruolo marginale (tipo che qui ha più importanza il Viagra), qui conta l'amicizia, il tradimento della stessa (si riparte quindi da dove li avevamo lasciati) e ovviamente il vivere nel passato, che non è mai e poi mai una buona idea (anche se è un passato di, che ne so, sei mesi o dieci giorni fa).
Inutile dire "com'erano" mettendo a confronto le gif del prima e del dopo
1996 // 20161996 // 2016
1996 // 20161996 // 2016
1996 // 2016
e neanche le sere delle premiere. La prima premiere è la vera premiere prima della premiere

perché a tutti fanno un po' male e un po' piacere le foto di venti anni fa. Il problema è che quando il tempo sta passando non te ne accorgi proprio, non stai lì a dirti "è passata un'ora, è passato un giorno, è passata una settimana, sono passati vent'anni", poi però ti giri e sono passati, quei ventanni. Come se non te ne fossi accorto, come fossi stato da un'altra parte. Sei sotto botta per tutta la vita, quando si tratta del tempo.
T2, come una tua foto di vent'anni fa, fa un po' bene e un po' male. T2 dà, T2 toglie.
La cosa più importante, quella che non te lo fa odiare, è che T2 ha un grande rispetto per la sua origine, per il primo film. Non lo violenta, non lo sfrutta, non lo snatura. Lo cita, quello sì e pure tanto, era inevitabile dài, ma almeno lo fa con una consapevolezza che molte volte queste reunion filmiche non hanno (erano passati vent'anni anche dal primo Independence Day e guarda che merda che è uscita fuori)

Non siamo più quelli di vent'anni fa, quindi giochiamoci anche un po' su, facciamo un film vent'anni dopo che parli proprio dell'irripetibilità di quello che fu. Facciamolo noi, che siamo quelli che vent'anni fa hanno fatto il miracolo, e fottiamocene pure un po' di quelli che diranno che siamo vecchi, imbolsiti e che pensiamo solo ai soldi che possiamo fare riesumando il cadavere Trainspotting. Facciamolo e basta. 

Begbie, Mark, Spud e Sick Boy sono tra i personaggi più iconici del cinema anni 90. E oggi si fanno le selfie come tutti


ma non per questo dobbiamo amarli di meno. 
Choose fare l'attore, choose non parlare con Danny Boyle per dieci anni perché non ti ha fatto fare il protagonista di The Beach che in effetti ci saresti stato benissimo, choose invecchiare e non capire bene perché tutti usano i filtri di Snapchat, choose vivere, che è il contrario di morire.
Abbiamo imparato davvero a "choose life" da quattro scozzesi scotennati scoperchiati scatenati? Non lo abbiamo fatto consapevolmente, perché non ammetteremo mai che un film, un film qualunque, ci possa davvero far prendere una strada piuttosto che un'altra, ma dentro lo sappiamo, ogni volta che ripensiamo a Trainspotting, al miracolo Trainspotting (che parlava del più schifoso cesso di Scozia e di drogati, ma parlava anche della nostra indolenza anche se non eravamo mai andati in Scozia e non ci eravamo mai drogati), che è stato un film che ci ha cambiato. Un film nato da un'alchimia miracolosa di facce, corpi, parole, personaggi, scene, situazioni e, soprattuto, contesto storico (che spesso è una cosa che decreta il successo di un film più della qualità del film stesso), tutte cose che mai si potranno ricreare. Mettiamoci l'anima in pace e facciamo un film che ci diverta fare, senza stare neanche a pensare di farne uno migliore. La gente capirà. Altrimenti si buttassero nel cesso

Il mio grande pentimento è di averlo visto doppiato in italiano (questo passava l'anteprima), non fate assolutamente questo errore.
Ah. C'è una cosa, una singola cosa, che è rimasta unica, splendida, speciale, anche dopo venti fottutissimi anni. Quel sorriso lì

La colonna sonora comunque è bella. No, non come la prima, ma niente lo è come la prima volta.
Choose ChickenBroccoli.
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